Erano già passate le tre di pomeriggio quando David Castello emerse dalla stanza, risvegliato dallo sbuffare del condizionatore. Si fece una tazza di caffè bollente e marciò in ufficio in ciabatte. Seduta alla scrivania, Yawen aveva la faccia di una che nell’ultima ora aveva fissato più volte le lancette dell’orologio.
Prima ancora che David potesse pentirsi di essere entrato in ufficio invece di tergiversare con la colazione, la collega gli fece segno di sedersi.
«Abbiamo un caso,» disse puntando una fila di fogli. David inalò il caffè. Una miscela bella forte, coltivata in Vietnam. Si sedette. Non aveva ancora gli occhi aperti, mettere a fuoco la scrittura fitta di caratteri cinesi era un incubo.
Riconobbe una mappa di Da’an, un po' sotto l’università. Yawen portò la sua attenzione a una serie di croci rosse disegnate sulla cartina. «Episodi di svenimento, debolezza cronica, studenti che tornano a casa e ai dormitori pallidi.»
Sapeva già dove andava a finire. Prese un sorso di caffè.
«Chi ci ha ingaggiato?»
«La madre di una delle vittime. Dice che la figlia è stata a letto una settimana, sotto le cure di monaci e dottori. La polizia non sa niente.»
Figurarsi. «Le hai detto quanto chiediamo per i vampiri, vero?»
«Ce la fai ad essere meno veniale?» Yawen lo ammonì con lo sguardo. «I soldi non sono tutto.»
Facile dirlo, quando a gestire la questione doveva andarci lui. Aree di competenza diverse. Era anche vero che con i suoi orari sfalsati finiva sempre a occuparsi dei casi notturni.
David tamburellò sul tavolo.
«Non c’è una cellula del Fiore Notturno in quella zona? Perché non se ne occupano loro?»
«Magari glielo puoi chiedere.» Yawen si appoggiò allo schienale. «Dovresti anche... portare Marek. È utile in questi casi.»
Ammettere che il cane servisse a qualcosa non doveva essere facile, per lei.
«Almeno gli facciamo guadagnate la ciotola.»
«Hm.»
«Va bene.» L'orologio segnava a malapena le tre e quaranta. Il tempo di prepararsi e andare. «Cala il sole e mi muovo.»
Fece il giro della scrivania e si abbassò vicino alla sedia di Yawen, per aprire il cassetto con le chiavi per la credenza degli amuleti.
«David, c'è un’altra cosa.»
Di recente Castello era in fissa con i drammi storici in streaming. Quello era un momento perfetto in cui l’eroina poteva uscire dalla sua armatura di ghiaccio per esprimere preoccupazione. Ma Yawen non era stata proprio informata del copione.
«Non hanno visto segni di morsi.»
Marek viveva in una stanzetta sul retro dell’ufficio dell’Agenzia Est-Ovest, rigorosamente dentro per usufruire dell’aria condizionata. Nonostante rifiutasse quella denominazione, di fatto era un cane da guardia. Una volta che due poveracci avevano provato a scassinare l’Agenzia passando dal parcheggio sul retro, si erano trovati un cane pastore di 50 chili che gli abbaiava contro in polacco.
David non ebbe neanche il tempo di chiudere la porta che già Marek era saltato sull’attenti.
«Ah, è un bene che tu qui.» Compativa un po’ quei ladri. Anche nella sua linea di lavoro, non ci si abituava facilmente a sentire l’imitazione gutturale del linguaggio umano uscire dalla gola di un cane. «Devo cacare.»
David prese il guinzaglio alla parete. «C’è pure di meglio, vecchio bastardo. Oggi ci serve il tuo naso. Staniamo un vampiro, probabilmente un neonato.»
Marek raddrizzò la seduta. Se aveva imparato a conoscerlo, stava trattenendo la sua natura di cane per non scodinzolare. Gli passò alle spalle e agganciò il guinzaglio al collare di cuoio. «E andiamo io e te, tak? Non viene Yawen? Sai che quando passa a darmi da mangiare quasi scappa via?»
David sciolse le spalle. Il giubbotto antiproiettile con il collo alto lo faceva sentire come un manichino. Oltre la porta della rimessa c’era la notte umida di Taipei e una bella sudata in arrivo. Di fronte a lui, Marek continuava a ciancare imperterrito.
«Quasi non la vedo. Mi manca quando usciva con quelle gonne corte, così da sentire un po’ di odore di f-»
Tirò il guinzaglio. Il collare strozzò la gola di Marek e lo fece impennare come un cavallo.
«Mettiamo dei paletti,» disse David rimestando le chiavi della macchina. «Se continui a essere disgustoso puoi scordarti di mangiar carne per il prossimo mese. Sarai il primo pastore tedesco a provare una dieta esclusiva di cavolo.»
«Gówniany dupek,»
«Ecco, bravo.» Aprì il portellone del minivan e Marek saltò sul sedile del passeggero. La minaccia del cavolo funzionava sempre.
D’altronde, coi cani e con i negromanti bisognava mantenere la mano ferma.
A Wolong street Marek depositò una pila di merda fumante di due etti. David la rimosse con paletta e sacchetto di plastica, il tutto sotto gli occhi del cane che sghignazzava. Abbandonata la bomba chimica in un cestino fu il tempo di mettersi al lavoro.
All’apparenza era solo un occidentale che portava a spasso il cane, in mezzo alla folla di impiegati di ritorno dal lavoro o diretti al mercato notturno. In realtà David si sentiva più un gamberone, pesante sotto il giubbotto e la camicia che lo nascondeva, con tanto di carne cotta al vapore sotto la corazza.
«Appena senti puzza di morto, abbaia.»
Marek aveva la decenza di non parlare in pubblico, ma di certo aveva capito. Lo portò a pattugliare le zone degli svenimenti e i tragitti tipici delle vittime, marchiate sul suo Google Maps con la cortesia di Yawen.
Per essere un vecchio di quattrocento anni, uno stregone polacco sfuggito all’inquisizione, e un irrimediabile rompicoglioni, Marek aveva un fiuto niente male. Non aveva idea di come facesse, visto che l’aria era piena di odori di cucinato dal mercato notturno. Lo guardò fermarsi un paio di volte ad annusare dei pali.
«Stiamo cercando un vampiro. Non il piscio di altri cani.»
Per tutta risposta, Marek sollevò la zampa e si liberò la vescica. Comunque era più sopportabile quando stava zitto. Lasciò che lo tirasse all’angolo dietro un seven eleven. Marek ringhiò.
Era vero che c’era puzza. Spazzatura pregna d’umido. Con il caldo del giorno pure la plastica prendeva a marcire, aspettando che passassero i netturbini. David staccò il guinzaglio dal collare, lo arrotolò in tasca, e si fece avanti nel vicolo. Una goccia di sudore si coagulò sulla sua nuca e scorse fino al colletto rigido del giubbotto antiproiettile. Marek puntava un rigonfiamento sotto strati di giornali e di scatoloni. Non esattamente una bara di lusso foderata di velluto rosso. Il focus sui ragazzini e gli svenimenti facevano pensare a un bambino neonato, magari uno che non aveva ancora imparato come nutrirsi, né tantomeno come nascondersi.
Se non c’erano stati morti era solo un’anomalia fortunata.
David allentò la cerniera dello zainetto. Prima la diplomazia, poi i paletti.
«Vieni fuori,» disse in cinese. «Vieni fuori,» ripeté in inglese.
La cosa sotto gli scatoloni si mosse. Strisciò fuori un piede nudo, rigido, la pelle quasi verde. Il resto del corpo era coperto da una tuta da operaio. Una zaffata di decomposizione lo colpì in faccia, così potente da fargli rimpiangere la merda di Marek.
Il vampiro aveva lo sguardo perso e la faccia tinta della stessa tonalità di verde ittero. Roteò gli occhi su David, così lentamente che si potevano sentire i bulbi raschiare contro l’interno delle orbite.
«La strada,» disse il cadavere, in un dialetto cinese che David capiva a malapena. «La conosci, la strada?»
«Mi dispiace.»
Yawen aveva la fronte imperlata di sudore, la camicia attaccata al corpo, e una borsa di plastica bella pesante dal mercato notturno. David fece un gesto con la mano come a scacciare una mosca. Lao era rimasto nel vicolo con l’espressione persa, guardato a vista da Marek.
«Hai trovato il pollo?»
«Certo che l’ho trovato.» Yawen si accucciò contro l’asfalto e tirò fuori un contenitore di alluminio dalla busta di plastica. Un odore penetrante di ferro. Marek mugolò.
«Fegatini?»
«Questo avevano.»
«E il resto della roba, lì sotto?»
«Tanto valeva fermarsi a comprare la cena, no?»
David non discusse. Tirò fuori un pezzo di carta ingiallita dallo zaino e lo passò a Yawen. Lei prese tra le dita uno degli organelli affusolati e cominciò a tracciare dei caratteri. «Da dove ha detto?»
«Fuzhou.»
«Aldilà dello stretto.» Si fermò un attimo per guardare il poveraccio. «Se la farà camminando sul fondo.»
«Non credo sia un problema, per un jiangshi.»
Un vampiro europeo si sarebbe tenuto alla larga dai corsi d'acqua corrente, oceano compreso. Ma quella varietà viveva secondo regole molte diverse. Yawen finì di scrivere, poi si alzò e camminò con passo deciso verso il redivivo, facendo il giro largo attorno a Marek. Prese il foglio e glielo stampò in fronte. Il morto non ebbe neanche il tempo di ringraziare: l’incantesimo gli si attaccò addosso. Rimasero a guardarlo andare via, con l’andatura a balzelli tipica del rigor mortis già avanzato.
«Che dici? Lavoratore senza documenti, morte improvvisa per incidente?»
«Può darsi.» Yawen si morse le labbra.
C’era un paletto di frassino per terra. David lo raccolse e lo rimise nello zaino, doveva essergli scivolato. Con quello che costavano non era il caso di seminarli in giro. Contro un vampiro saltellante, poi, sarebbe stato inutile.
«Avrei dovuto capirlo. Niente morsi, niente sangue,» fece Yawen. «Questo poi si nutriva più per disperazione che per volontà.»
«Va bene. Non te la farò pesare.» Una delle basi dell’Agenzia era la divisione per aree di competenza, dopotutto. «Piuttosto, cos’altro hai lì da mangiare?»
Yawen lo guardò da sotto una ciocca fuori posto. Marek aveva già fiutato l’odore dei fegati di pollo.
SCRITTOBRE è una sfida per scrittori. 31 giorni, 31 parole, un solo obbiettivo: scrivere qualcosa a tema ogni giorno.
Sto seguendo le parole votate nel gruppo telegram di Fabio Scalini.
Il pezzo di oggi è un po' diverso, perché anticipa un progettino di cui forse mi occuperò in seguito. L'idea è la classica situazione dove tutto il paranormale diventa reale. Come immigrano le persone immigrano anche i mostri, rendendo necessaria un'agenzia con competenze diverse per gestire il folklore di regioni diverse.
Magari col tema del profumo ci sta un po' tirato, ma volevo scriverlo.
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